20 novembre 2007

donne

in quel periodo cominciai a pensare che fumavo troppe canne a ogni ora del giorno. e la specificità della canna mi rincoglioniva completamente. Non ero praticamente mai lucido veramente, mi trovavo in un confine fatto di reazioni esagitate un continuo susseguirsi di crisi di panico nei momenti concitati, e un caldo e rilassante lungo sonno in tutto il resto del tempo. Cioè mentre vivevo.

Tratto da Ravinsky - Racconti di salmastro; continua la lettura…





I mesi di astinenza dalla scrittura mi hanno dato la carica, ed eccomi di nuovo a pigiar tasti sulla tastiera; con una differenza sostanziale rispetto al solito: non sto buttando giù belinate per quei tre cristi che mi stressano per farmi scrivere qui sopra, ma direttamente per l'Autore. È una sorta di lettera aperta, in cui ho intenzione di elencare una serie di miei ragionamenti; ragionamenti che, per altro, ho già esposto a voce ad un sacco di persone… a molti, ma non all'interessato: questo è il motivo per cui mi sento legittimato a scriverne qua sopra, ma nel caso desse fastidio sono pronto a cancellare il post, come del resto ho già fatto in passato.

Non ho mai letto il blog di Ravinsky sino ad oggi; cioè, ne lessi alcuni stralci ormai molti mesi fa, oserei dire una vita fa, quando ancora aveva un'impostazione più marcatamente letteraria. Almeno, credo sia così: sono riuscito a leggere soltanto gli ultimi due post, prima di farmi prendere dalla tristezza e cominciare a buttare giù queste righe.

Vi ricordate il mio sfogo sugli Afterhours di due giorni fa? Ecco, con questo potrei anche chiudere il discorso. Il mondo dipinto da Ravinsky usa gli Afterhours come colonna sonora, e trasuda un… come chiamarlo… un liquame condensato di mancanza di forza di volontà. E lo dico con la morte nel cuore, per quanto possa valere. Gli eventi, in quel luogo, accadono, piovono dall'alto, e come pioggia si adagiano sui coprotagonisti della storia. Sono tutti coprotagonisti, tutti! Un mondo dai tratti onirici, dove le persone tracciano la rotta della loro vita per puro moto browniano, e dove ogni anelito di volontà viene usato giusto per soffiare via uno smarrone dai pantaloni.

Ravinsky non lo capisco più. Ci fu un tempo in cui ero convinto che tra i due, il disadattato fossi io. Avevo grossi problemi a rapportarmi con le persone — non che ora siano scomparsi, i problemi… sono solo contenuti — e l'amicizia con Ravinsky mi ha migliorato sotto molti aspetti, molti dei quali credo siano rimasti inosservati a lui stesso; e ha tutta la mia gratitudine, per questo. Siamo stati — fummo — in confidenza, fino ad un paio di anni fa, oggi non più. Non riesco ad andare oltre al buongiorno e buonasera; perché questo? Brutto dirlo… non riesco più a stimarlo. Non per le sue scelte, no! Per le sue non-scelte. Perché non gli vedo più il coraggio di prendere una decisione, specialmente quelle radicali, quelle che secondo me potrebbero portarlo verso una vita che gli piaccia vivere. Se io, in una situazione di pesante stress percepito, ho avuto il coraggio di dare una svolta radicale alla mia vita ed i miei progetti per il futuro (una scelta che per altro mi ha devastato finanziariamente, e che solo ultimamente promette un ritorno a quelli che avevo preso a considerare standard), perché lui non può? Perché si crogiola in questo stato di (cito letteralmente) "fallimento come progetto umano"? Perché non ci prova nemmeno, a riscriversi il suo progetto umano?

Questo discorso è stato affrontato più e più volte con un sacco di amici che abbiamo in comune, e tutte le volte lo si è concluso con un'alzata di spalle, e con me che ripetevo "non so cosa fare, per aiutarlo, perché mi pare che la sua sia una precisa scelta di vita, e non approvandola me ne disinteresso". Ma alla lunga non ci riesco. Ti stiamo — ti stai — lasciando indietro, Ravinsky, e più che guardarti con rattristata curiosità non so che fare.

Brutto post, questo. Probabilmente verrà pure misinterpretato, se non (speriamo di no) odiato. Le lettere aperte sono sempre un po' una buffonata, e io per primo non le ho mai capite, eppure questa volta mi è parsa adeguata; credo che i 4 o 5 lettori di questa pagina siano già tutti al corrente del mio pensiero, e mi pare sia grosso modo accettato e condiviso da tutti. Per questo scrivo qua: credo di non sbagliarmi, Ravinsky, affermando che questo post non l'ha scritto Belinde, ma è un coro; forse piccolo, ma è un coro.

19 novembre 2007

Hai paura del buio?

Ascolto insolitamente gli After. Ho trovato qualcosa di nuovo, in quelle che ho sempre reputato "nenie ossessive". Ci ho trovato la mia paura, un po' della mia paura, meglio. Ci vedo e sento l nero, solo il nero, solo il buio, dannzione. quel buio in cui ti riduci ad un coniglietto bianco, tenero e indifeso, del tutto inerme e in balia del prossimo.

Tratto da THE PARADISE CITY; continua la lettura…





Si potrà pensare che ultimamente (ultimamente? ben strana concezione del tempo devo avere, visti i 5 mesi passati dall'ultimo mio post) mi limiti a leggere solo il blog della Vale; nulla di più falso, semplicemente negli ultimi mesi le mie fonti si sono o prosciugate, o piegate a risvolti intimisti che non ho nessuna voglia di esplorare, o mantenuti su ottimi livelli di banalità (talune volte per precipua scelta dell'Autore, ricordiamolo!).
Cosa mi ha spinto a tornare una volta di più al succitato blog? Di sicuro non l'incipit sugli Afterhours: ero, sono e rimarrò convinto siano degli incompetenti musicali, e aspetto con ansia di sapere i loro corpi sbranati da cani ed augelli, e i loro spiriti divorati da qualche oscura entità metafisica in stile lovecraftiano, e il loro ricordo disperso nelle sabbie del Tempo. Se lo meritano. Ma torniamo al dunque… Nella loro incapacità a creare una melodia degna di tal nome, gli Afterhours in effetti, come giustamente coglie la nostra Autrice, trasmettono (non esprimono, ma trasmettono) un senso di ansia e piccolezza dai connotati fortemente negativi; qui troviamo un altro dei motivi per cui non li sopporto, come non sopporto buona parte del panorama musicale rock o simil-rock italiano, ovvero la totale mancanza di volontà. Volontà di migliorarsi, di provare a migliorare chi ci circonda, di tentar di migliorare il mondo, di fare, di tentare. Un costante e continuo calar le braghe dinnanzi al fato avverso, un pratico arrendersi ad un cosiddetto disagio insanabile: con tutto il rispetto alla categoria (molte delle persone di mia conoscenza meritevoli di maggiore stima sono omosessuali), un comportamento da bulicci.
E cosa può venire fuori dall'incontro tra questo modo crepuscolare di affrontare la vita, ed un sistema più marcatamente volitivo come quello che caratterizza la cosiddetta "violenza": "violento", dal latino violentum, derivato da Vis, robur, ovverosia forza; un esternare la propria potenza a danno o detrimento di chi ci circonda. A cosa ci può portare questa allegra scampagnata alle radici della nostra lingua? a nulla. Proprio nulla. La violenza, a mio modesto parere, è insita nel concetto stesso di vita, e con questo possiamo cadere nel consueto vortice di banalità: mangio per non essere mangiato, mors tua vita mæa, la legge della jungla, bla bla bla. Cazzate, per dirla con un francesismo mai desueto. L'esistenza stessa in quanto ente materiale implica una serie di effetti sull'ambiente circostante che si possono tranquillamente etichettare come violenza, più o meno inconscia. Pensiamo ai fermenti lattici, poveri cristi…



L'immagine qui sopra è su gentile quanto inconscia concessione di Eriadan. Chiarafalce, per chi non lo sapesse, è la Morte.
Torniamo al nostro discorso. Credo che i problemi riscontrati dalla nostra Autrice, e torniamo alle consuete banalità, siano dovuti proprio alla non accettazione di questo fatto: la vita è una continua prevaricazione dei desideri di qualcun altro. Che poi ci sia gente che attua la sua volontà mediante delle metodiche opinabili, beh, questo è tutt'altro problema, e va affrontato con l'ausilio delle forze di pubblica sicurezza, beninteso, qualora reperibili! Ma (e qui ci ricolleghiamo agli Afterhours) la situazione precipita se alla violenza altrui non ho da contrapporle un'adeguata forza di volontà mia, e la forza di volontà la posso esercitare solo mediante piccole e continue affermazioni della stessa: se sono abituato a chinare il capo di fronte ad ogni avversità, piangendo i difetti di una società che pare odiarmi, ben difficilmente riuscirò ad uscire indenne da un incontro con qualcuno che mi vuole infilare la testa nella tazza del water, metaforicamente o realmente che sia; certo, nel secondo caso la dialettica non mi aiuterà molto, ma senz'altro mi permetterà di uscire dalla disavventura sano di mente e non sull'orlo di una crisi di nervi. Con questo non voglio assolutamente fare richiami all'esperienza dell'Autrice, sto parlando in termini completamente generici.

Tutto questo per dire cosa? Nulla, come i più arguti avranno già capito. Solo una cosa mi sento di affermare con decisione: dall'ascolto degli Afterhours non può venire nulla di buono.