19 novembre 2007

Hai paura del buio?

Ascolto insolitamente gli After. Ho trovato qualcosa di nuovo, in quelle che ho sempre reputato "nenie ossessive". Ci ho trovato la mia paura, un po' della mia paura, meglio. Ci vedo e sento l nero, solo il nero, solo il buio, dannzione. quel buio in cui ti riduci ad un coniglietto bianco, tenero e indifeso, del tutto inerme e in balia del prossimo.

Tratto da THE PARADISE CITY; continua la lettura…





Si potrà pensare che ultimamente (ultimamente? ben strana concezione del tempo devo avere, visti i 5 mesi passati dall'ultimo mio post) mi limiti a leggere solo il blog della Vale; nulla di più falso, semplicemente negli ultimi mesi le mie fonti si sono o prosciugate, o piegate a risvolti intimisti che non ho nessuna voglia di esplorare, o mantenuti su ottimi livelli di banalità (talune volte per precipua scelta dell'Autore, ricordiamolo!).
Cosa mi ha spinto a tornare una volta di più al succitato blog? Di sicuro non l'incipit sugli Afterhours: ero, sono e rimarrò convinto siano degli incompetenti musicali, e aspetto con ansia di sapere i loro corpi sbranati da cani ed augelli, e i loro spiriti divorati da qualche oscura entità metafisica in stile lovecraftiano, e il loro ricordo disperso nelle sabbie del Tempo. Se lo meritano. Ma torniamo al dunque… Nella loro incapacità a creare una melodia degna di tal nome, gli Afterhours in effetti, come giustamente coglie la nostra Autrice, trasmettono (non esprimono, ma trasmettono) un senso di ansia e piccolezza dai connotati fortemente negativi; qui troviamo un altro dei motivi per cui non li sopporto, come non sopporto buona parte del panorama musicale rock o simil-rock italiano, ovvero la totale mancanza di volontà. Volontà di migliorarsi, di provare a migliorare chi ci circonda, di tentar di migliorare il mondo, di fare, di tentare. Un costante e continuo calar le braghe dinnanzi al fato avverso, un pratico arrendersi ad un cosiddetto disagio insanabile: con tutto il rispetto alla categoria (molte delle persone di mia conoscenza meritevoli di maggiore stima sono omosessuali), un comportamento da bulicci.
E cosa può venire fuori dall'incontro tra questo modo crepuscolare di affrontare la vita, ed un sistema più marcatamente volitivo come quello che caratterizza la cosiddetta "violenza": "violento", dal latino violentum, derivato da Vis, robur, ovverosia forza; un esternare la propria potenza a danno o detrimento di chi ci circonda. A cosa ci può portare questa allegra scampagnata alle radici della nostra lingua? a nulla. Proprio nulla. La violenza, a mio modesto parere, è insita nel concetto stesso di vita, e con questo possiamo cadere nel consueto vortice di banalità: mangio per non essere mangiato, mors tua vita mæa, la legge della jungla, bla bla bla. Cazzate, per dirla con un francesismo mai desueto. L'esistenza stessa in quanto ente materiale implica una serie di effetti sull'ambiente circostante che si possono tranquillamente etichettare come violenza, più o meno inconscia. Pensiamo ai fermenti lattici, poveri cristi…



L'immagine qui sopra è su gentile quanto inconscia concessione di Eriadan. Chiarafalce, per chi non lo sapesse, è la Morte.
Torniamo al nostro discorso. Credo che i problemi riscontrati dalla nostra Autrice, e torniamo alle consuete banalità, siano dovuti proprio alla non accettazione di questo fatto: la vita è una continua prevaricazione dei desideri di qualcun altro. Che poi ci sia gente che attua la sua volontà mediante delle metodiche opinabili, beh, questo è tutt'altro problema, e va affrontato con l'ausilio delle forze di pubblica sicurezza, beninteso, qualora reperibili! Ma (e qui ci ricolleghiamo agli Afterhours) la situazione precipita se alla violenza altrui non ho da contrapporle un'adeguata forza di volontà mia, e la forza di volontà la posso esercitare solo mediante piccole e continue affermazioni della stessa: se sono abituato a chinare il capo di fronte ad ogni avversità, piangendo i difetti di una società che pare odiarmi, ben difficilmente riuscirò ad uscire indenne da un incontro con qualcuno che mi vuole infilare la testa nella tazza del water, metaforicamente o realmente che sia; certo, nel secondo caso la dialettica non mi aiuterà molto, ma senz'altro mi permetterà di uscire dalla disavventura sano di mente e non sull'orlo di una crisi di nervi. Con questo non voglio assolutamente fare richiami all'esperienza dell'Autrice, sto parlando in termini completamente generici.

Tutto questo per dire cosa? Nulla, come i più arguti avranno già capito. Solo una cosa mi sento di affermare con decisione: dall'ascolto degli Afterhours non può venire nulla di buono.