17 maggio 2008

Nubi di ieri sul nostro domani odierno

Quando c'ho la ragazza faccio la conchetta per sentirmi il fiato,
sto vent'anni in bagno, penso che si chiava, dopo non si chiava e non mi lavo più.
Cerco nelle mie narici una testimonianza delle mie radici, ma vi trovo un fico e lo dovrò spalmare
sotto qualche banco, come in gioventù.
Questi sono i miei costumi, vendo paralumi, siete come me.

Tratto da Elio E Le Storie Tese; continua la lettura…





L'avete letta e riconosciuta, adorata o disprezzata, ma non ne siete rimasti indifferenti. E se anche non l'aveste mai sentita, sono sicuro che sin'ora non avrete mai dormito tra due guanciali. Per quale motivo è finita su questo blog? Solo per attirare l'attenzione dei lettori: mi scuso di conseguenza con chiunque arrivi qui alla ricerca dei testi di Elio.

Niente commento, oggi. Pensieri a ruota libera.

Non ho trovato fonti, da febbraio a questa parte: i blog di persone fisiche da me conosciute sembrano essersi arenati su una ristretta rosa di argomenti, quali "oh ma quanto sto male", "oh ma che sfiga c'ho addosso", "oh ma siete tutti brutti e cattivi"; in questo mare magnum di varie acredini e depressioni, spiccano sparute isole di banalità assortite — una fra tutte, quasi un eponimo del genere, Zabriskie Point — che tuttavia non riescono a solleticarmi. Non so, questo ammosciamento generalizzato mi stupisce sempre. Tempo addietro mi sono trovato a commentare un post su The paradise city, e ho continuato a pensarci sin'ora: vuoi perchè sono orgoglioso della mia prosa — ah, sia lode al mio ego! —, vuoi perché mi ha messo di fronte ad una situazione che, essendomi ogni giorno sotto gli occhi, mi è sempre sfuggita. In molti lamentano della morte civile che aleggia nelle nostre serate, in troppi raccontano con sguardo trasognato immortali nottate passate a Barcellona. In pochissimi si adoperano per dare una mossa alla propria vita: forse perchè questo richiede fantasia e applicazione, forse perchè occorre volontà. In effetti, è molto più comodo rimanere uguali a se stessi e traslarsi spazialmente in un luogo in cui ci si possa far portare dalla corrente, in cui la propria piattezza possa passare inosservata. Trovo sia un atteggiamento veramente vile nei confronti di se stessi.

Eppure mi sembra così naturale… coltivare degli interessi, parlarne in giro, inseguirli per tutt'Italia. Trascinarsi dietro qualcuno, in modo da ampliare anche gli interessi di tutti i propri conoscenti. Agire, insomma, fare. Ma è un discorso che cade nel vuoto. Molto più facile rimanere davanti al Mille, o al Balìn, o al Cafè de la Place, a bevacchiare e raccontarsi quella dall'uva, pianificando quell'unica settimana all'anno in cui inventarsi un nuovo vivere. Bello, per carità, simpatico e divertente, mi ci chiamo in mezzo anch'io: ma il fine settimana scorso ho conosciuto o reincontrato gente di Torino, Vicenza, Roma, Napoli, Catania. Ho parlato, ballato, riso. Ho pianificato viaggi, raccolto informazioni, imparato tecniche. E sono tornato a casa, sì nella morte civile, ma migliore e più completo: e la prossima volta sarà meglio, e ad ogni giro le possibilità di essere e rimanere felice aumenteranno di un poco. Perché altri non fanno scelte di questo genere? Perché annegarsi nell'inedia mentale?

Ecco cosa centrava Elio, all'inizio. Schiavi di abitudini insensate, sospinti da aspettative che verranno disattese per la propria incapacità di esibire una volontà. In attesa di quella settimana di lieto ritornello, che non c'entra un cazzo, ma che piace ai giovani.




"L'assenzio", di Edgar Degas



Seduti in quel caffè, a non pensare a nulla. E scappò via con la paura di arrugginire, il giornale di ieri lo dà morto arrugginito... I becchini ne raccolgono spesso, tra la gente che si lascia piovere addosso.